Angela Gambirasio autrice esordiente al suo primo romanzo Mi girano le ruote è laureata in Psicologia, cura il blog Ironicamente diversi ed è in sedia rotelle dalla nascita.
Il suo romanzo, edito da Voltalacarta Editrici, è un racconto tragicomico della vita di un disabile, fatta di barriere e limiti “mentali” che imprigionano in ridicoli pregiudizi chi invece non è disabile.
Con Mi girano le ruote Angela ci fa sorridere a crepapelle, riflettere e commuovere.
Mi girano le ruote, intervista ad Angela Gambirasio
Leggeremania ha intervistato Angela Gambirasio per raccontare ai lettori alcuni perché del romanzo Mi girano le ruote.
Nel tuo libro parli con umorismo della disabilità facendo da subito conoscere il tuo carattere forte ma soprattutto il tuo equilibrio interiore. Dato che non penso sia una cosa scontata né sia una condizione innata di chi vive una disabilità dalla nascita vorrei sapere quanto hai faticato a trovare questo equilibrio?
Te lo chiedo perché non sempre si parla di disabilità come di normalità, anzi non è per nulla scontato. Si tende sempre più spesso a parlare di disabilità soltanto dal punto di vista della sofferenza e della “diversità”, il che riempie le menti di pregiudizi a volte stupidi a volte restrittivi e limitanti soprattutto per chi non ha la fortuna di avere un amico/familiare con disabilità o peggio non è stato educato alla sensibilità civica.
Il tema dell’equilibrio mi è sempre stato molto vicino. Vorrei poter dire che, non avendo l’equilibrio necessario nemmeno a reggermi in piedi, col tempo ho imparato a compensare con quello interiore, ma la verità è che non credo sia possibile per nessuno, disabile o meno, raggiungere un equilibrio permanente. Credo anzi che l’equilibrio abbia ben poco a che fare con la stabilità. Pensa a quelli che camminano sulle funi: se non oscillassero a destra e a sinistra, cascherebbero subito giù. Il segreto non è stare immobili, ma compensare continuamente un movimento col suo opposto. E io, col tempo, ho imparato a fare così: oscillare continuamente tra entusiasmo e stanchezza fisica, tra ironia e frustrazione, tra l’ascoltare la parte di me che urla “Non mollare mai!” e l’udire mio malgrado anche la vocina che insinua: “Tanto non serve a niente”. Questo è per me l’equilibrio: qualcosa che si raggiunge non raggiungendola mai. Quindi, per rispondere alla tua domanda, non è stato facile e non è facile avere un equilibrio. Quando lo sarà, probabilmente sarò morta.
Il normodotato che descrivi nel libro è molto spesso un essere privo di acume, a tratti superficiale e “tapino” come tu lo definisci. Mi auguro che questo dipenda soltanto da una scelta “editoriale” dettata più dalla voglia di far conoscere ai lettori uno spaccato della società e non che i bipedi che incontri siano tutti così poco perspicaci. Ti prego dimmi che non siamo tutti così.
Giornalmente incontro normodotati pieni di acume e tutt’altro che superficiali. Ma la verità è che le persone intelligenti e mentalmente aperte, difficilmente commettono gaffes degne di essere raccontate. Infondo, se ci pensi, ad amici e familiari non racconti mai ciò che è andato per il verso giusto, perché le cose che vanno per il verso giusto spesso non sono interessanti né divertenti.
Chiarisci più volte (e ci riesci alla perfezione) che è sbagliato credere che tra un normodotato e un disabile ci siano delle differenze e in Mi girano le ruote racconti come invece sia il contrario. Credo però che tu rappresenti un’eccezione alla regola. Quanto è lungo il cammino per chi non ha avuto la vita facile? Dato che anche io sono un bipede un po’ tardo mi spieghi in poche parole perché la maggior parte delle persone disabili, oltre ad essere diverso per la società è il primo a sentirsi “un disabile” nella concezione omologatrice del termine?
Disabili come me e anche molto meglio di me, per fortuna, ce ne sono più di quanti non si pensi. Io stessa ho i miei disabili ispiratori, cui penso ogni volta che sono tentata di lasciar perdere. Disabili “in gamba” ce ne sono sì, ma non sono la maggioranza, questo è da dire. Non posso parlare per gli altri, ma per quanto riguarda come sono diventata io, è dipeso tutto dai miei genitori. Se qualcuno ha delle rimostranze in merito, ora sa a chi rivolgersi. Papà ha sempre lavorato molto più di quanto umanamente concepibile per pagarmi le migliori cure e scuole. E durante le notti della mia infanzia in ospedale, quando mi svegliavo e mi guardavo intorno, lui era lì, abbarbicato sulla sdraio portata da casa. Quanto a mamma, lei è da sempre il Generalissimo di casa: quella che mi ha insegnato a rispondere a tono ogni qual volta che provavano a farmi del male. Credo che però, a un certo punto, di questa cosa del “difenditi con la lingua” si sia un po’ pentita. Oggi io credo in me stessa nella misura in cui ci hanno creduto loro, cioè troppo.
Perché hai deciso di scrivere e di pubblicare come tuo primo romanzo un libro autobiografico?
Io scrivo da sempre, perché scrivere mi aiuta a far chiarezza, soprattutto se scrivo per qualcun altro. Da piccola scrivevo un diario e fingevo di non sapere che mamma lo leggesse. Poi ho iniziato a scrivere per i miei amici dello Star TrekItalin Club, perché nessuno più di un gruppo di persone che si veste da alieno almeno un paio di volte l’anno, può capire le disavventure di una disabile. Col tempo è arrivato il blog, che mi ha aiutato a sviluppare “i grandi temi della vita”. A volte non so veramente cosa penso di una cosa finché non ci scrivo sopra. Arrivo alla fine del capitolo e BUM! I conti tornano come se davvero avessi avuto chiaro sin dall’inizio dove volevo andare a parare. Come dal blog si sia arrivati a un libro, ancora non me lo spiego, ma sicuramente ho capito che è colpa dei mei amici, che non si fanno mai gli affari propri.
Come hai scelto i titoli dei capitoli e dei paragrafi del romanzo? Te lo chiedo perché il tuo è un umorismo studiato, nel senso più bello del termine, che per me equivale a ricercato.
Non sono certo un’esperta del settore, ma la psicologia della comunicazione mi è sempre interessata più di altre branche. All’università ho avuto modo di partecipare a delle ricerche sulla comunicazione menzognera e sulla comunicazione efficace. È un tema che mi affascina e rapisce in ogni sua sfaccettatura! Sfortunatamente, quando conosci un po’ la materia, ti rendi conto di quanto sia statisticamente più probabile comunicare male anziché bene. Io mi sforzo… giuro! Ma sento di essere ancora ben lontana da quella che Freud definiva come la capacità di trovare la parola perfetta per rendere un concetto. Se a volte ci riesco, credo sia più merito della mia insana passione per i giochi di parole, i doppi e i tripli sensi e la comicità vecchia maniera, in cui a far ridere sono i dialoghi intelligenti e l’uso studiato delle parole, anziché il rutto o la scoreggia.
La tua penna brillante è frutto di conoscenze, studio e sicuramente tanta passione per i libri. Che cosa ti piace leggere?
Nella vita ho letto praticamente di tutto, soprattutto da giovane, quando non avevo la possibilità di recarmi in libreria ogni settimana e finivo col leggere qualsiasi cosa fosse a disposizione della biblioteca scolastica, persino se si trattava de “I Malavoglia”. Ho attraversato un’adolescenza molto Sci-Fi e Fantasy… gli Harmony non contano perché quella era colpa degli sbalzi ormonali. Quando ho iniziato a fare la pendolare, inspiegabilmente ho attraversato una lunghissima fase gotica, horror e persino splatter. Ora mi piace leggere qualsiasi cosa sia divertente, ma non vuota. Gli ultimi libri di cui mi sono innamorata sono “Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve”, “E poi, Paulette…” e “Le lumache non bevono vino”. Spero che molti comprino il mio libro, perché il vizio di leggere è incredibilmente costoso.
In quasi tutto il libro il lettore trattiene le lacrime (per le risate) e ha necessità di fare delle pause per pensare a cosa si cela in così tanta ironia. Ho sempre pensato che dietro ogni battuta o espressione divertente si nasconda un’emozione forte. Dove si ride c’è da riflettere. Nell’ultima parte del libro, invece, echeggia una Engy un tantino diversa, un’altra parte della tua anima, quella più dolce e meno cinica. Ti sei lasciata andare appositamente oppure è stato voluto?
Considera che questo libro è composto da capitoli scritti a distanza di interi anni l’uno dall’altro. Confesso che ora, rileggendo la prefazione, per esempio, la trovo incredibilmente strafottente e la questione un po’ mi urta. Ma non sarebbe stato giusto cambiare nessuna delle “vecchie” parti, perché così mi sentivo e così volevo che mi vedessero gli altri allora. Col tempo si cambia e i nuovi capitoli rappresentano questa versione di me stessa che non sente sempre il bisogno di apparire forte ad ogni costo. Però è vero: ogni capitolo è frutto di più emozioni. Divertimento, riconoscenza, amore, ma anche rabbia, frustrazione, amarezza… Mentre scrivevo, ho provato tutto questo e ho riso… o pianto. Ecco perché il libro è più ironico che triste: perché battere a computer tra le lacrime è un gran casino. Ciò che mi farebbe più piacere al mondo, è proprio sapere che chi mi legge le possa sperimentare sulla sua pelle e capire come ci si sente su una sedia a rotelle, nel bene e nel male.
Ti eri cimentata prima di Mi girano le ruote in altri testi letterari? Da quanto tempo scrivi e ti piacerebbe continuare con i romanzi?
A parte la partecipazione a qualche manuale tecnico che sicuramente mi varrà in eterno l’odio degli studenti che ci sono capitati sopra, questo è il mio primo libro. Non saprei dirti se sarà l’ultimo, perché nemmeno questo era nato come libro. Probabilmente continuerò a scrivere il blog ironicamentediversi.blogspot.it , semplicemente perché non posso fare a meno di dire la mia, che lo vogliate oppure no.
C’è una parte del libro a cui sei più legata?
La parte in cui racconto come la mia vita sia migliorata incredibilmente nel momento esatto in cui ho compreso che farsi troppe domande fa male, che si sia bipedi o meno.
Un’ultima domanda. Se domani mattina un ragazzo di 17 anni dovesse passare in motorino in una strada qualunque nella sua tranquilla andatura di cinquanta all’ora e, mentre sta per tornare a casa per pranzare, dovesse essere investito da un’automobile e dovesse rimanere in sedia a rotelle che cosa gli diresti?
Penso che se gli dicessi qualsiasi cosa proprio quel giorno, o anche solo nel mese successivo, mi manderebbe ad espletare le mie funzioni corporali, possibilmente sulle ortiche. Ma quando avesse giustamente finito di piangere per ciò che crede di aver perso, gli direi questo: camminare è un modo per andare da un punto A ad un punto B. Non importa se usi due gambe o quattro ruote, basta che ti muovi. La verità è che conosco un sacco di bipedi che non riescono ad andare lontano, pur avendo tutti i presupposti biologici.
Grazie Angela, grazie per quest’intervista ma soprattutto per il tuo romanzo, una vera perla letteraria!!!