Non siamo capaci di ascoltarli di Paolo Crepet, un libro per interrogarsi sull’importanza dell’educare oggi
Vorrei che i tuoi Natali non fossero colmi di doni – segnali a volte sfacciati delle nostre assenze – ma di attenzioni. Vorrei che gli adulti che incontrerai fossero capaci di autorevolezza, fermi e coerenti: qualità dei più saggi. La coerenza, mi piacerebbe per te. E la consapevolezza che nel mondo in cui verrai esistono oltre alle regole le relazioni e che le une non sono meno necessarie delle altre, ma facce di una stessa luna presente.
Mi piacerebbe che qualcuno ti insegnasse a inseguire le emozioni come gli aquiloni fanno con le brezze più impreviste e spudorate; tutte, anche quelle che sanno di dolore.
Sono questi alcuni dei versi emozionanti presenti nell’introduzione del saggio Non siamo capaci di ascoltarli. Riflessioni sull’infanzia e sull’adolescenza, scritto dallo psichiatra e sociologo Paolo Crepet e pubblicato da Einaudi nel 2007, compongono la lettera che l’autore immagina di scrivere a una bambina che sta per nascere.
Il testo è una raccolta di considerazioni che Paolo Crepet ha messo assieme sulla base di incontri e conferenze tenute in tutta Italia presso scuole e comunità, con educatori, genitori, insegnanti e studenti. Le tematiche affrontate vanno dal razzismo alla prostituzione, dall’educazione sessuale alla pedofilia, sino alla paura della diversità, per citarne qualcuna. Gli argomenti, esposti in brevi paragrafi attraverso uno stile divulgativo, inducono a meditare sulla condizione attuale dell’affettività infantile e adolescenziale odierna.
Non mancano toni di critica e indignazione nei confronti del pubblico adulto che pare abbia oggi dimenticato il significato dell’autorevole compito dell’educare che spetta loro. I genitori di oggi, sommersi dai troppi impegni di lavoro, che come asserisce l’autore fino a qualche decennio fa era necessario per vivere mentre oggi serve per permetterci il superfluo, non sono in grado di stabilire un dialogo costruttivo con i propri figli. Questi, a loro volta, se da una parte appaiono molto sviluppati sul piano biologico e cognitivo, da un punto di vista emotivo sono molto più immaturi e disorientati.
Paolo Crepet sembra chiedere con tono di accusa se sono ancora in grado di trasmettere validi esempi di coerenza, valori e messaggi forti, quelle che dovrebbero rappresentare figure di riferimento per i più piccoli, se i risultati sono infelicità e noia?
Ricerca della perfezione, competizione, eccellenza, successo: sono questi i valori oggi trasmessi alle nuove generazioni che, non riuscendo a soddisfare immani pretese, coltivano un avvilente senso di inadeguatezza. Se da una parte si intende tirar sù un esercito di vincenti, dall’altra si fa di tutto per preservare gli adulti del domani dall’inevitabile drammaticità della vita. Diventa necessario, fa notare lo psichiatra, parlare della morte, del dolore, delle sconfitte, tutte esperienze correlate allo sviluppo dell’identità del bambino. Tacendo su questi argomenti si rischia di incutere timore di tali consapevolezze nei bambini, inculcando loro le proprie paure, indice di un esempio di incoerenza educativa.
E ancora, come pretendere di avere a che fare con un adulto autonomo se non gli si è insegnato il senso di responsabilità e di autonomia da bambino? Perché aborrire la voglia di isolarsi con l’ossessione della socializzazione, perché incutere nei bambini la mania del non perder tempo e del fare eccessivo invece di educare all’ozio per coltivare l’ascolto e l’immaginazione?
Oggi la valutazione delle abilità non passa più per le capacità sensoriali, ma si misura sulla base di quelle cognitive. A tal proposito Paolo Crepet riporta l’espressione utilizzata da Ingmar Bergman per definire la nuova generazione “analfabeti delle emozioni”. Si domanda:
come possiamo reiventarci una pedagogia in grado di indurre la capacità di sentire le emozioni, di farsi coinvolgere dalle passioni senza temerle come fossero un terreno infido e pericoloso?
L’ordine delle parti qui sembra invertirsi: il pubblico adulto appare incapace di saper cogliere messaggi dissimulati da una generazione ribelle, che a sua volta attraverso comportamenti estremi sembra voler dire molto più di quanto i suoi interlocutori più maturi riescano a rispondere. I ruoli appaiono confusi, i genitori diventano amici dei figli, non più figure autoritarie e decise, ma educatori insicuri e inadeguati, sommersi da sensi di colpa irrisolti. Decisione nel proferire i “no” e coerenza di comportamento consentono invece di manifestare l’autorevolezza, in definitiva di educare. Così:
Ogni affetto si dissolve nella semplificazione terrificante di silenzi esistenziali dove risuona solo il valore del denaro. Sfuma così ogni possibile ricchezza nella diversità. Resta solo un o scambio meccanico, metafora del vuoto che divide. Impossibile comprendere turbamenti, sensi di ribellione, linguaggi trasversali usati per dire quello che non si riesce. Nessuno comprenderà più la diversità dell’altro, i suoi dolori, le sue paure e il suo desiderio d’affetto. Alla fine resta la solitudine, impacchettata con un nastro d’argento.
Non solo la famiglia, ma anche la scuola e la comunità in genere devono reinventarsi secondo l’autore, per la precisione devono rinegoziare un patto dove ognuna assuma nuove competenze e obblighi per riuscire a garantire accoglienza, ascolto nei ragazzi, i quali ormai non amano più la scuola perché non vi si sentono parte di essa. Le proposte sono l’animazione teatrale per riuscire a leggere sé stessi, per favorire il lavoro di gruppo e ancora apprendere la creatività, dimostrare la disponibilità emotiva come adulti.
Il libro di Paolo Crepet offre interessanti spunti di riflessione ma soprattutto induce gli educatori di oggi a interrogarsi sull’efficienza del proprio ruolo. Un tempo bambini poi adolescenti, gli adulti di oggi, travolti dal rapido cambiamento epocale e schiacciati dal fallimento di non essere riusciti a cambiare il mondo, ammetteranno di sentirsi inesperti e, per sopperire alle loro mancanze verso le nuove generazioni, non mancheranno di soffermarsi sui preziosi moniti, seppure severi, lanciati dall’esperto autore del saggio.
VOTO: 7
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